Per quanto il nostro modo di vivere tenda a farcelo dimenticare, tutto ciò che mangiamo proviene dalla terra. Dalla terra provengono anche i cereali e i chicchi utilizzati per fare il pane.
Nei chicchi di grano e degli altri cereali, la luce solare, attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana, si condensa in amido, il carboidrato più importante per la nostra alimentazione.
Consumando questo cereale, quindi, non solo riceviamo il nutrimento che ci dà la forza di agire e pensare, ma portiamo dentro di noi scintille di sole, stabilendo così un collegamento con il cosmo.
Negli ultimi 100 anni la nostra relazione con questo nobile alimento è drammaticamente cambiata su diversi fronti: sono cambiati i metodi agronomici e di selezione genetica, le tecnologie di produzione degli alimenti a base di farina di grano sono divenute estreme e tendono a velocizzare enormemente i processi.
Le selezioni
Per quanto riguarda i metodi agronomici, è stata fatta, a partire dagli inizi del ‘900, una selezione forsennata di varietà sempre più produttive: nel 1915, attraverso un’accurata selezione genealogica, Nazzareno Strampelli ottenne una semente di grano duro a cui diede il nome “Senatore Cappelli” in onore del promotore della prima riforma agraria dell’Italia unitaria. L’intento originario era nobile perché si voleva, aumentando la produttività, dar da mangiare ai tanti che avevano fame.
Col passar del tempo però, tale intento è passato in secondo ordine ed oggi, il cosiddetto miglioramento genetico è asservito agli interessi dell’industria alimentare che, per fini tecnologici ed economici, richiede varietà che diano farine sempre più ricche di glutine senza preoccuparsi del fatto che ciò porta allo scadere delle qualità organolettiche e salutistiche.
Negli anni ’70, infatti, tramite bombardamento con raggi gamma, da quelle stesse sementi mutate geneticamente, si arrivò ad un grano con un fusto molto più basso, con meno rischio di “allettamento” (coricamento dovuto al vento o alla pioggia).
Erano gli anni in cui cominciava ad affermarsi l’uso intensivo della concimazione chimica, garanzia di una maggiore resa produttiva ma responsabile di un aumento della fragilità del fusto. Il grano per sua natura non è avido di azoto, quindi spingere la produzione con nitrati è violentare la natura stessa del grano.
Il nuovo grano duro “nano” non solo riduceva i rischi di allettamento ma rispondeva anche egregiamente ai fertilizzanti chimici. Venne chiamato “Creso”: lui e i suoi “discendenti” costituiscono, oggi, le varietà dominanti sul mercato.
Le ridotte dimensioni delle piante “moderne” le hanno rese meno competitive nei confronti delle infestanti e la risposta è stata, ovviamente, un aumento nell’uso di erbicidi. Nel tempo è seguita la ricerca e la selezione di varietà di grani duri e teneri sempre più resistenti a diserbanti e pesticidi e sempre più produttive, soprattutto in termini di proteine e amido a scapito di oligoelementi e fibre.
Oggi le varietà coltivate di grani duri e teneri sono molto poche, e recenti disposizioni normative hanno sempre più limitato la possibilità di auto-produzione e scambio di semi tra contadini.
I semi antichi perciò hanno un valore inestimabile: portano con sé sapori, aromi, colori e forme che sono elementi essenziali di biodiversità e il recupero di varietà autoctone o comunque tradizionalmente coltivate in una certa area ha un valore culturale, storico, paesaggistico e nutrizionale, perché spesso quelle sono le varietà meglio in grado di prosperare e dare prodotti di qualità senza pesanti interventi esterni, in quel determinato terreno e con quelle precise condizioni climatiche.
Il processo industriale
Per quanto riguarda le tecnologie di produzione, oggi si produce una farina sempre più scadente, spesso d’importazione, i cui elementi determinanti sono il prezzo (più basso possibile) e la quantità di glutine (la più alta possibile, al fine di avere pani sempre più “gonfi”). Al fine di ottimizzare i tempi di lavorazione, i chicchi vengono macinati con cilindri metallici che ruotano a 300-350 giri al minuto e scorticano i diversi strati del chicco. Con questa tecnologia si raccolgono separatamente crusca, cruschello, germe e amido. Il prodotto ottenuto è di facile conservabilità (non irrancidisce come la farina completa proprio perchè il germe, sede di oli preziosissimi viene separato), ha una maggiore predisposizione alla lievitazione e una maggiore elasticità del glutine, ma presenta vari inconvenienti nutrizionali: il calore e l’elettricità del metallo producono perdite vitaminiche e altri danni difficilmente valutabili. Il grano così raffinato risulta da un punto di vista strettamente qualitativo, decisamente più povero.
Questa farina raffinata, già duramente compromessa, che conserva residui di diserbanti (prima della semina), fungicidi (durante la fioritura), insetticidi (durante la conservazione) e nanizzanti (in alcune varietà di importazione) viene poi, spesso, sbiancata con diossido di cloro, talvolta vengono aggiunti “miglioratori” come il bromato e iodato di potassio che, indurendo le molecole proteiche, permettono, con l’uso di potenti fruste per impastare, di “montare” il pane nella forma voluta. Altri ingredienti utilizzati per la panificazione industriale, per aumentare la percentuale di acqua, impedire al pane di sgonfiarsi, migliorarne la struttura sono: grassi frazionati, emulsionanti e agenti antimicotici.
Il risultato è un pane bianco, lievitato con lievito di birra che si digerisce con più difficoltà, meno nutriente rispetto a un pane con farina integrale lievitato a pasta madre e molito con una macina a pietra.
Le intolleranze
Il risultato delle modificazioni genetiche dei tempi moderni ha quindi prodotto un grano molto squilibrato dal punto di vista nutritivo, che contiene una percentuale di glutine molto più alta di quella “primordiale”, che permette ai dolci e al pane di crescere molto più alti ma che, purtroppo, ha il difetto di rendere sempre più persone talmente intolleranti al consumo di frumento da doverne sospendere temporaneamente o completamente l’utilizzo.
Molto tempo fa il glutine era presente nel grano in percentuali attorno al 9- 10%, oggi è arrivato fino al 18% .
La difficoltà che abbiamo di digerire il frumento è principalmente dovuta al fatto che stiamo facendo perdere a questo cereale la sua funzione nutritiva originaria. L’allergia al grano e la celiachia, che diventano sempre più frequenti, sono segnali che il nostro organismo ci invia affinché ci rendiamo conto dell’errore che stiamo commettendo.
Per approfondire scarica gli articoli/video:
Stefano Benedettelli SLIDES Univ Firenze
Coltivare salute: slides di Prof Dinelli Unibo